C’è una possibile verità sulle proteste in Nepal che nessuno ha ammesso finora. Noi del magazine Isola Di Govinda, io, Giuseppe Govinda, sono il primo a dirlo e quando si scoprirà vorrò essere risarcito dal mondo del giornalismo e dell’editoria che mi ha sempre ignorato.
Social e governi collusi
Solo uno stupido non capisce che queste proteste sono state aizzate, aiutate, deviate, controllate, create, pubblicizzate dalle lobby, dai governi che sarebbero dovuti essere colpiti da questo ban. Solo un imbecille, o un colluso col potere, non lo capisce, non vuole capirlo o non vuole dirlo per interessi personali.
Cosa è successo in Nepal?
Secondo quanto riportano tutti i giornali del mondo, il governo nepalese ha imposto il blocco di 26 piattaforme social (tra cui Facebook, Instagram, WhatsApp, X/Twitter, YouTube) perché non hanno accolto la proposta di legge sulla registrazione. Non tutte le piattaforme sarebbero state bloccate: TikTok e Vimeo, che hanno accettato la legge di uno stato sovrano, come ogni azienda esterna e interna, straniera e locale dovrebbe fare, hanno avuto il via libera.
Molti giovani, chiamati da tutti i giornali in modo sommario, superficiale e pericoloso soltanto “Generazione Z”, avrebbero visto nel blocco non solo una misura tecnica ma una forma di censura. (Volevo soffermarmi sull’attributo “Pericoloso”. L’ho definito così perché colpevolizzare una generazione è uno dei modi più orrendi per descrivere il malcontento generale. Oltretutto questo modo di trovare un “personaggio”, di personificarlo in un gruppo specifico, puzza di propaganda di sistema – in questo caso, sistema globale, il sistema del turbocapitalismo: una nuova forma di dittatura).
Le manifestazioni sono scoppiate a Kathmandu e in altre città nepalesi. Le forze dell’ordine hanno risposto con lacrimogeni, proiettili di gomma, cannoni ad acqua e, in alcuni casi, con fuoco reale. Almeno 19 persone sarebbero morte durante le proteste. Centinaia sarebbero le vittime.
Di consequenza il governo ha revocato il blocco dei social e il ministro dell’Interno, Ramesh Lekhak, si è dimesso.
Verità sulle proteste in Nepal: una teoria di cui nessuno parla
Uno potrebbe dire: «Ma che prove hai?». Difficile parlare di prove tangibili. Le prove dovrebbero cercarle i grandi giornali. Io non ho nessuna prova, lo vedo con gli occhi della ragione: non è possibile tutta questa distruzione a causa della chiusura dei social. Solo chi ha interessi veri, economici, potrebbe reagire così violentemente.
La mia teoria è che, se fossero riusciti a farlo, sarebbe iniziato un boomerang: non lo avrebbero fatto più solo le grandi dittature, come la Corea del Nord, ma anche i paesi considerati più calmi, più amici. I prossimi ad attuare il ban sarebbero potuti essere altri stati asiatici, africani, sudamericani e persino membri dell’Unione Europea.
Così il ban si sarebbe potuto espandere a macchia di leopardo in tutto il mondo. Ci sarebbe stato un precedente, per usare una metafora giuridica. E questo i vari CEO e i vari governi – cioè, in primis, il governo degli Stati Uniti – non potevano permetterlo. Il loro castello di carta sarebbe crollato. Non avrebbero più potuto anestetizzare la società con la dipendenza dai social né controllare le nostre vite.
Perché nessuno riesce a capirlo? Perché nessuno ha il coraggio di dirlo?
Per gli scettici: le ingerenze straniere ci sono sempre state
Ecco alcuni esempi d’ingerenze straniere volte a cambiare le sorti dei paesi sovrani.
Italia (anni ’40–’70) – La CIA finanziò partiti, giornali e campagne elettorali per impedire l’ascesa del Partito Comunista Italiano durante la Guerra Fredda.
USA (2016) – Secondo indagini e rapporti ufficiali, la Russia avrebbe tentato di influenzare le elezioni presidenziali americane con campagne di disinformazione online e cyber-attacchi.
Cile (1973) – La CIA sostenne il colpo di stato militare di Augusto Pinochet contro il presidente socialista Salvador Allende. Gli Stati Uniti temevano l’influenza comunista in Sud America.
Afghanistan (1979–1989) – L’Unione Sovietica invase il paese per sostenere il governo filo-sovietico contro i mujahideen. Gli Stati Uniti e altri paesi risposero finanziando e armando la resistenza.
Iraq (2003) – Gli Stati Uniti e una coalizione internazionale invasero l’Iraq con il pretesto delle “armi di distruzione di massa” mai trovate. Il regime di Saddam Hussein venne depotenziato e ridisegnarono gli equilibri politici regionali.
Cuba (anni ’60 in poi) – L’embargo economico statunitense mirava a destabilizzare il regime castrista e favorire un cambiamento politico interno.
Grecia (2010–2015) – Le pressioni della “Troika” (Commissione Europea, BCE, FMI) influenzarono pesantemente le politiche economiche greche durante la crisi del debito, ridisegnando il panorama politico-sociale del paese.
Iran (1953) – Con l’operazione Ajax, CIA e MI6 rovesciarono il primo ministro democraticamente eletto Mohammad Mossadeq, che aveva nazionalizzato il petrolio, reinstallando lo scià Mohammad Reza Pahlavi.
Guatemala (1954) – Gli Stati Uniti, tramite la CIA, organizzarono un colpo di stato contro il presidente Jacobo Árbenz, colpevole di aver espropriato terre della United Fruit Company.
Congo (1960–1961) – Dopo l’indipendenza, il leader Patrice Lumumba fu deposto e assassinato con la complicità dei servizi segreti occidentali, che temevano un suo avvicinamento all’URSS.