ZeroCalcare al Punk Italia Festival di Berlino

zerocalcare al punk italia festival di berlino foto dal palco di giuseppe govinda

L’incontro con ZeroCalcare al Punk Italia Festival di Berlino è stato rivelatore. Mi ha fatto capire quanto Michele Rech sia bravo a parlare ai cuori della gente. Un artista popolare e per il popolo che ne esprime i suoi romanticismi senza mai nascondere le sue contraddizioni né i suoi difetti.

Sul Punk Italia Festival

Presentato da Thommy Gun Production, il Giradischi, il Ritrovo e Roadshock, il Punk Italia Festival è un evento unico che si pone l’obiettivo di mostrare la cultura italiana priva dei soliti fronzoli e classicismi cui siamo abituati a vedere sopratutto all’estero. L’edizione del 2023 è stata organizzata il 25 novembre nei leggendari locali di SO36 e Festsaal Kreuzberg. Nel primo alle 14 si è svolto l’incontro con ZeroCalcare, mentre nel secondo dalle 18 si sono esibiti a turno i 99 Posse,
Modena City Ramblers,
She-Male Trouble,
Atarassia Gröp,
Gli Ultimi, Punkrock Boys.

A differenza dei media italiani che dell’evento hanno riportato solo il siparietto divertente di Zero con il traduttore tedesco (tanto per trasformare tutto in caciara), io, Giuseppe Govinda, del magazine alternativo Isola Di Govinda preferisco porre l’accento sugli argomenti chiave affrontati durante la piacevole chiacchierata in cui è stato coinvolto anche il pubblico.

Inizia l’intervista

La discussione inizia con una domanda a cui Zero risponde in modo molto semplice e onesto che provoca una risata collettiva.

INTERVISTATORE: Che feedback ricevi dai tuoi fan tedeschi?

ZEROCALCARE: L’unica cosa che mi chiedono è: «Perché usi gli animali?».

Per poi continuare su aspetti via via sempre più profondi.

INTERVISTATORE: C’è molta autocritica nel tuo lavoro, cosa volevi comunicare?

ZEROCALCARE: La parte di autocritica è in realtà semplicemente mettere sul piatto le mie contraddizioni. Nel senso che spesso c’ho uno che mi dice: «Ah ma non ti senti in contraddizione di dire certe cose e poi magari fai robe su Netflix?» oppure: «Fai quello dei centri sociali e però fai la roba mainstream?». Grazie al cazzo, certo che percepisco questa contraddizione, non c’ho bisogno che me lo dici te! Io tutti giorni quando mi sveglio la mattina cerco di trovare un equilibrio in questa cosa, e lo so che ho fatto anche un sacco di scivoloni.

Il mio sforzo principale è cercare di trovare un minimo di ‘Tenere la barra dritta’ in mezzo a delle pulsioni che sono proprio opposte, a volte proprio opposte al mio carattere. Vale nell’aspetto lavorativo ma vale anche nel mio privato perché sono cresciuto con persone più intelligenti di me, più sveglie, più istruite, più generose ecc. magari fanno l’inventario al supermercato e io quando c’ho un intervista da fare chiamo loro per dirgli: «Senti che devo dire? Perché io non so come rispondere a queste cose!», però nessuno va a chiedere niente a loro, e io campo molto meglio di loro adesso. Quindi è ovvio che mi sento parte di un meccanismo di ingiustizia.

Il carcere, l’eroina e la riabilitazione

L’intervistatore poi gli chiede della tematica della riabilitazione nelle sue opere: «La comunità è spesso molto simile al carcere. Non penso che il carcere produce nessun tipo di aspetto positivo sull’umanità. Penso che il carcere per come è concepito, è un’istituzione criminogena. Se uno guarda le statistiche della recidiva, si accorge che è 16 volte più alta per chi è stato in carcere. È anche un’istituzione di classe perché, a parità di reati, non è vero che tutti vanno in galera. Per lo stesso reato c’è chi ha la possibilità di scontare i domiciliari poiché ha un lavoro.

Questo è il motivo per cui in carcere ci stanno prevalentemente i poveracci. Quindi non c’è nessun vantaggio possibile. È chiaro che io non penso che dall’oggi al domani possiamo fare a meno del carcere per come è strutturata questa società, ma penso che dobbiamo cominciare a scomporlo e a svuotarlo. Tutto quello che si può fare senza il carcere, va fatto senza il carcere».

Si passa a una domanda sull’eroina e al tema dell’abbandono: «Secondo me il tema dell’eroina è della generazione prima alla mia e di quella dopo. Ci sono un sacco di ragazzi che sono morti di eroina a Roma, però sono quelli un po’ più piccoli di me. La mia generazione è quella cresciuta col terrore di trovare gli aghi che ti si infilavano nella scarpa. Uno dei miei personaggi (nda) è andato in una comunità dura, disciplinata, che ha fatto sì che all’uscita lui non riuscisse a rimanere lontano dagli impicci a causa di quel tipo di inquadramento. E non riuscendo a dare continuità a quelle esperienze, si è trovato all’interno di un’ideologia molto identitaria e rigida che in qualche modo gli dava quella sensazione di ordine (nda) vissuta nella comunità».

Fa un accenno anche alla vicenda di Sarah: «Non mi sento di criticare chi fa delle scelte moralmente discutibili perché a questa gente non gli si dà nessuna alternativa».

La domanda del pubblico a ZeroCalcare su Gaza

Una persona presente gli chiede se per caso gli va di scrivere un libro sul conflitto a Gaza: «Intanto deve essere qualcosa che vivo personalmente, quindi significa dover andare nei posti, dover conoscere le persone, e significa dover fare un percorso con queste persone. Un percorso sia proprio per il libro, di dover decidere insieme come parlare di una cosa, farlo rileggere, fare in modo che il libro serva a quella causa e non sia soltanto un esercizio di un autore; e poi fare un percorso anche politico, quindi significa andare tutti i lunedì alla riunione ecc… È una cosa abbastanza complessa. In più parliamo di questioni che non possono essere trattate per un libro, finisce il libro e poi basta. Parliamo di gente che muore e continua a morire negli anni, anche nel momento in cui si spengono i riflettori su quell’emergenza là.

Per i curdi io ci sono stato nel 2014 e tutt’ora c’ho st’accordo di curdi eterno per cui ‘Continuiamo a far libri’, e ovunque ci sia un curdo in Italia a me mi mandano a far la presentazione in quell’insediamento umano. Significa che tutti i soldi ricavati da quei libri vanno per quella causa là. Sostanzialmente tu ipotechi due anni della tua vita per quella roba lì e poi per sempre devi seguire quella causa in questi termini. Tutto ciò non è pensabile per la mia esistenza. Poi, posso schierarmi come è stato per il Lucca Comics (il fumettista non aveva partecipato a causa dell’amabsciata di Israele, nda), ma l’idea di fare un libro non è solo un libro, è un impegno a vita che in questo momento nella mia esistenza non ci riesco a infilar un’altra cosa».

Una grande figura della nostra contemporaneità

Alla fine della discussione inizia una sessione di autografi con ZeroCalcare. Lo osservo. Sembra molto interessato ai suoi fan. Siamo all’incirca 300 e lui oltre a firmare i suoi libri, è disposto anche a dedicarti un disegno. Penso: “Vabbè, sarà una cosa veloce”. E invece Zero sorride e scambia quattro chiacchiere con ognuno di noi. Quando arriva il mio turno e mi avvicino per salutarlo, sento di essere in procinto di incontrare una grande figura del nostro tempo.

La conferenza è stata modificata per motivi di lunghezza e chiarezza.

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